Il 12 febbraio 1990 il sottosegretario di Stato americano per il Medio oriente, a Baghdad, si rivolge ancora a Saddam con parole di elogio e di amicizia: ma in realtà gli Usa stanno iniziando a temere le iniziative di Saddam Hussein, il quale è ormai a capo della seconda forza militare della regione e può conquistare un ruolo egemone in Medio oriente. Gli Stati uniti, nella loro opera di contrasto al loro ex amico, sono aiutati dal fatto che l’economia irachena è pesantemente provata dal recente conflitto e segnata da un ingente debito estero. Già il 29 novembre 1989, il generale Fahd Ahmad Al Fahd, direttore generale del ministero della Sicurezza nazionale del Kuwait, riferisce, in un memoriale al ministro degli Interni del suo governo, i risultati di una sua recente visita negli Stati uniti e gli accordi conclusi col direttore della Cia William Colby: "Abbiamo convenuto con la controparte americana che è importante approfittare del deterioramento della situazione economica dell’Iraq per costringere il governo di questo paese a definire le nostre frontiere comuni. La Cia ci ha illustrato i mezzi di pressione che considera appropriati, precisando che sarebbe opportuno instaurare una stretta collaborazione fra noi, a condizione che queste attività siano coordinate ad alto livello".
Gli Usa cominciano anche a stigmatizzare i metodi disinvolti sui quali Saddam Hussein basa il suo potere, che finora hanno tranquillamente ignorato: il rapporto annuale sui diritti umani nel mondo, pubblicato il 21 febbraio 1990 dal dipartimento di Stato americano, dedica all’Iraq 12 pagine che lamentano la violazione dei diritti stessi, l’uso della tortura e il ricorso ad esecuzioni sommarie da parte irachena.
L’Iraq inoltre è oggetto di minacce da parte di Israele, cui Saddam Hussein risponde col suo abituale tono di ostentata sicurezza:
"Coloro che ci minacciano con la bomba atomica, li stermineremo con le armi chimiche" dice riferendosi a Israele in un discorso del 2 aprile 1990 alle forze armate.
Washington reagisce a questa presa di posizione anti israeliana, anche se per ora il dipartimento di Stato si oppone a misure di ritorsione economica contro l’Iraq. Lo strangolamento economico dell’Iraq avviene in modo più sottile e indiretto.
Già nell’agosto 1988 il Kuwait ha deciso di aumentare, violando gli accordi Opec, la propria produzione di greggio, determinando un ribasso dei pezzi petroliferi e quindi un crollo nelle entrate dell’Iraq che dipendono per il 90% dal petrolio. D’altro canto, come si è visto più sopra, l’Iraq è oppresso da un colossale debito estero, eredità della guerra con l’Iran.
Saddam Hussein cerca di correre ai ripari: nel febbraio 1990, in un vertice interarabo ad Amman, chiede che gli sia cancellato il debito contratto per motivi bellici con Arabia saudita e Kuwait, e che gli siano concessi nuovi prestiti, minacciando rappresaglie in caso di rifiuto; nel giugno 1990 il vice premier iracheno Saddum Hammadi chiede a re Fahd dell’Arabia saudita che si diminuisca la produzione di petrolio, e che siano rispettate le quote Opec per consentire un rialzo dei prezzi del petrolio. Ma è tutto inutile; il 17 luglio 1990, in un discorso radiofonico per l’anniversario della rivoluzione irachena, Saddam Hussein, mescolando sicumera e amarezza, afferma: "Grazie alle nostre nuove armi gli imperialisti non possono più lanciare un attacco militare contro di noi; hanno quindi scelto di combattere una guerra economica servendosi di quegli agenti dell’imperialismo che sono i capi dei paesi del Golfo. La loro politica di tenere bassi i prezzi del petrolio è una spada avvelenata nel cuore dell’Iraq".
Il 1 agosto 1990 l’Iraq mette fine ai negoziati con il Kuwait sulle controversie economiche e territoriali, e il giorno successivo le truppe irachene invadono il Kuwait e occupano Kuwait City: Saddam Hussein ha deciso di risolvere i problemi economici del suo paese con l’annessione del vicino e ricchissimo emirato, che per altro accusa di aver provocato un deliberato ribasso del prezzo del greggio e di sfruttare abusivamente i pozzi nella regione di frontiera di Rumalla, contesa tra i due paesi. Saddam crede anche di poter vantare dei diritti sul Kuwait: questo emirato che ostacola l’accesso dell’Iraq al Golfo è stato creato artificialmente, a suo tempo, dagli inglesi, che l’hanno separato nel 1899 dalla provincia di Bassora. Molto probabilmente Saddam Hussein conta su una benevola assenza di reazioni internazionali: bisogna ricordare che molti paesi occidentali hanno continuato, magari sottobanco, ad aiutare e ad armare l’Iraq anche dopo la guerra con l’Iran. Ma è ancor più importante sottolineare che quasi certamente Saddam agisce dopo aver ricevuto in via informale la garanzia che gli Stati uniti non interverranno a contrastare il piano di invasione del Kuwait, che pure conoscono in tutti i particolari.
Il già citato articolo apparso sul "New York Times" il 17 agosto 2002 contiene le dichiarazioni di ex ufficiali dei servizi segreti americani in tal senso: secondo il loro racconto, l’ambasciatrice americana April Glasbie incontra Saddam Hussein, e gli lascia credere che gli Usa non sono intenzionati a reagire in difesa del Kuwait.
Invece scatta la trappola; Saddam Hussein, fautore della distensione e dell’amicizia tra Iraq e Usa, gendarme e pedina degli interessi americani in Medio oriente,
ora per gli Stati uniti e i loro satelliti si avvia a diventare con immemore rapidità "il nuovo Hitler".
Gli Stati uniti, nei 6 mesi successivi, riescono a raccogliere intorno a sé una vasta coalizione internazionale di circa 50 stati e colgono l’occasione per affermare la propria leadership di unica superpotenza mondiale sull’Europa, sul Giappone e sui resti dell’impero sovietico.